Il lavoro psicologico nelle Comunità Residenziali per anziani di Maura Ianni


Il lavoro psicologico nelle Comunità Residenziali per anziani

Maura Ianni

Il Lavoro a cui faccio riferimento riguarda il contesto di due Comunità alloggio per anziane situate nel decimo municipio romano dove lavoro in qualità di responsabile Psicologo.

Tali strutture constano di 45 e 20 residenti ciascuna.

L’età media è di 83 anni.

Ogni struttura è a norma per quanto riguarda l’adeguamento alla legge 41 del 2003

Il lavoro terapeutico a cui faccio riferimento in questa sede è quello relativo all’utilizzo della Narrazione sia individuale che di gruppo.

Ida, Cesarina, Dea, Luigia, Maria, Giuliana…..tanti sono i nomi delle signore che portano dentro esperienze da condividere. In modo particolare la narrazione della guerra vissuta rappresenta, secondo me, il racconto che permette loro di giungere ai contenuti inconsci dello stato psico-fisico e sociale che si trovano a vivere che è intriso di rabbia per l’abbandono, di confusione, di smarrimento, di ristrutturazione del sé, ma che permette loro anche di fare affidamento a quella parte forte di sopravvissute, che può aiutarle ad elaborare i momenti di sconforto.

In ogni storia narrata possiamo rintracciare elementi personali, sociali e culturali.

Le storie più importanti per capire l’anziano sono quelle centrate sul sé ma che aiutano a capire il senso delle altre persone in relazione a se stessi, che lasciano affiorare i bisogni, le difficoltà.

Le storie ci aiutano a:

sviluppare e mantenere un senso di identità,

a riflettere sulla nostra esistenza, ad esprimere le nostre capacità e continuare ad ampliare la nostra visione del mondo,

ci danno l’opportunità di riconoscere e utilizzare le analogie tra noi e gli altri e allo stesso tempo contribuiscono a mantenere il senso della nostra individualità.

Ci danno l’opportunità di mettere ordine negli eventi a volte caotici.

Il narratore ha un ruolo attivo e quando racconta la sua storia e gli altri lo ascoltano si mette in una posizione dinamica, viene messo di fronte alle sue risorse

aiuta a ottenere il sostegno degli altri ma anche ad agire, in modo particolare sono significative da un punto di vista psicologico le narrazioni di storie in cui ci può essere un rispecchiamento.

 

Rogers Carl in occasione dei suoi 80 anni ha scritto un articolo dal titolo Diventare vecchi o crescere invecchiando? Riflette su aspetti positivi dell’essere vecchi soprattutto rispetto all’Intimità.

Negli ultimissimi anni mi sono scoperto disponibile ad un’intimità nei rapporti umani molto più grande. Vedo in questo sviluppo una delle conseguenze delle mie esperienze con i gruppi. Sono molto più disponibile, fisicamente, a ricevere e ad offrire il contatto. Abbraccio e bacio più che nel passato uomini e donne. Sono più consapevole dell’aspetto sensuale della mia vita.Per questo parlo oggi di uno sviluppo nuovo, sperimentale, avventuroso, che sembra anche molto gratificante. Con questi amici intimi, uomini e donne, posso vivere ogni aspetto di me stesso — i sentimenti dolorosi, gioiosi, angoscianti, folli, insicuri, egoistici, auto-svalutanti. Posso partecipare loro fantasie e sogni. Parimenti, i miei amici propongono se stessi con uguale profondità. Trovo molto arricchenti questi esperienze. Sto diventando più acutamente consapevole dei periodi in cui sperimento il dolore, l’angoscia, la frustrazione, il rifiuto, così come la vicinanza
che nasce dal condividere certi valori o la soddisfazione derivante dall’essere capiti e accettati. Ho imparato quanto sia difficile confrontarsi con i sentimenti negativi che si provano nei confronti di una persona per la quale si ha una considerazione profonda. Ho appreso in che modo le aspettative all’interno di un rapporto finiscono molto facilmente per diventare delle esigenze imposte al rapporto. 

Il racconto di storie di anziani creativi, che cercano di dar vita ad una visione ottimistica, vitale della vecchiaia sono molto gradite dagli altri anziani perchè offrono altre possibili letture dello stato di vita che il vecchio vive.

Lavorare con gli anziani è sperimentare una flessibilità psicologica attiva degli anziani che è in contrasto con la passiva rigidità fisica, risultato di molteplici fragilità e disabilità.

Nell’ottica della programmazione degli interventi psicoterapici e occupazionali la VALUTAZIONE CLINICA DELL’ANZIANO è un momento fondamentale per poter al meglio formulare un piano individualizzato di intervento terapeutico. La valutazione diagnostica in ambito psicogeriatrico non è affatto semplice in quanto bisogna tenere presenti diversi fattori che possono intercorrere a determinare un comportamento piuttosto che un altro, un pensiero piuttostio che un altro…..

Bisogna mettere in campo un approccio multifunzionale in cui tutti gli operatori possono intervenire ad offrire elementi importanti per una valutazione globale.

Raccontarsi in gruppo per gli anziani produce effetti benefici perchè garantisce l’opportunità di sentirsi capiti, di ascoltare qualcosa di familiare e soprattutto di poter essere utile nell’aiutare qualcun altro a trovare un altro senso al suo dolore o di apprendere un altro possibile modo per affrontare un momento difficile.

 

Il conduttore di un gruppo che si inserisce all’interno di una comunità non può non tenere presente i vari sistemi che interagiscono e si influenzano tra loro.

 

 

Il gruppo all’interno della comunità residenziale a cui faccio riferimento è a cadenza settimanale, aperto, ha la durata di 1 ora e si tiene in una piccola saletta.

La maggior parte delle persone che partecipano è la stessa dall’inizio circa 12 persone di età media, 82 con la perdita e aggiunta di nuovi elementi.

 

Il gruppo è cresciuto, si è modificato nel tempo ma è anche l’istituzione che si è modificata che è cambiata; tanti sono stati i cambiamenti in questi anni tutti relativi ad una maggiore consapevolezza da parte dei vari sistemi del ruolo che ognuno è chiamato a svolgere nel prendersi cura dell’anziano residente nella casa.

Il gruppo oggi è consapevole della sua funzione, delle sue potenzialità; è luogo di scambio, di conflitto; spazio in cui si può condividere tutto dal sogno al problema concreto. Il gruppo rappresenta un momento creativo in cui ci si confronta e soprattutto uno spazio in cui non si subisce lo scadere del tempo se non quello della seduta: il gruppo c’è tutti i martedi escluse due settimane estive in cui il conduttore va in vacanza.

 

I membri più esperti riescono a coinvolgere i nuovi membri a farsi portavoce di un certo modo di stare nel gruppo: parlare uno alla volta, poter parlare di tutto, non c’è offesa personale , tutto è utile al gruppo anche il conflitto o il diverso modo di vedere le cose.

A mano a mano i membri del gruppo hanno acquisito la capacità di essere se stessi nel gruppo. Nonostante sempre presente il tema del disagio, della dipendenza oggi il gruppo sembra essere in grado di sopravvivere , di non farsi sopraffare dal senso di vuoto, di annichilimento ma sembra sempre pronto ad offrire un nuovo percorso, un nuovo obiettivo. Il tema del dentro e del fuori la struttura viene affrontato con maggiore consapevolezza e collegato al bisogno di sentirsi utili, di non sentirsi abbandonati da se stessi , di dover reagire e cercare di andare avanti. Il gruppo ha imparato a gestire il confine, il tempo del gruppo ma anche il tempo per ciascuno nel gruppo, il gruppo da spazio alla rabbia e alla frustrazione; emergono in tutta la loro potenza è come se il gruppo è forte abbastanza per reggere aglia attacchi che arrivano e che lo minacciano.

Iolanda rappresenta la rabbia di non poter essere solo lei a poter parlare a poter esistere: Iolanda non accetta la sua condizione fisica ma soprattutto continuamente fa riferimento ad un senso di tradimento: spesso racconta del marito pilota che la tradiva e del suo non creder all’amore; Iolanda ha bisogno di differenziarsi perché solo cosi riesce a definirsi, a non perdersi: viene sporadicamente al gruppo e quando viene offre sempre l’opportunità di riflettere sulla paura della contaminazione, dell’omologazione di cui la stessa struttura è portatrice nella sua organizzazione, Iolanda continuamente ribadisce che l’Italia civile è solo l’Italia del nord, non esiste civiltà al sud e che inoltre a Roma le periferie sono piene di gente non educata, che Cinecittà è un quartiere rispettabile, al massimo Casal Palocco dove abita sua figlia è civile. Queste uscite di Iolanda fanno infuriare Filomena che però grazie a questi momenti riesce a ritrovare la forza di definirsi, di definire e sentire la sua appartenenza al gruppo, supera i suoi deliri ipocondriaci, le torna la voce e il respiro si fa meno debole è attraverso questi momenti di gruppo che Filomena riesce a raccontarsi al gruppo a dare voce a quante cose nella sua vita sono state belle e costruttive vissute nella periferia, quanta felicità e quanti valori si hanno al sud e al centro Italia che al nord non si trovano e soprattutto fa i conti con l’immagine che lei stessa dà di sé agli altri di una povera vecchia debilitata e malata. Questa discussione va avanti per tutto l’incontro e viene ripresa anche in altre occasioni.

Quando Nara racconta della sua vita da pelliciaia, moglie di un generale e delle due pensioni che ha, la casa a Firenze, l’amore del figlio che la viene a trovare e dice che in comunità lei ci sta bene perché a 92 anni è servita e riverita e continua a fare la vita della signora stimola altre signore a parlare e a condividere con il gruppo il valore di altre cose oltre al denaro e al marito generale, Giselda parla delle sue umili origini e di quando viveva in Umbria nella casa colonica dei nonni con gli zii, i cugini e tanta allegria anche se con tanta povertà non gli mancava niente, racconta al gruppo quando facevano il pane una volta la settimana ne facevano circa 17 pagnotte, la mamma lo faceva con il lievito madre ricavato con le budelle dell’agnello da latte che ancora non aveva brucato l’erba. Questo racconto di Giselda stimola il racconto dell’allattamento della maternità. Ida racconta di quando è nato suo figlio e lei aveva molto latte e ha allattato una bambina la cui mamma non aveva latte; si parla delle sorelle e dei fratelli di latte; il gruppo condivide un momento di forte intimità quasi come essere tutte sorelle di latte, nutrirsi degli stessi bisogni di AFFERMAZIONE E DELLE STESSE ANGOSCE. L’angoscia di perdersi verbalizzata da Nara quando ha dei suoi momenti ripetitivi in cui dice: ho perso la memoria, ho perso un pezzo di memoria ma la ritroverò quando mi verrà a trovare mio figlio, intanto mi ero persa e ora ho ritrovato dov’è la mia stanza è al piano di sopra e sotto è dove mangiamo.

Spesso emerge lo stato di disperazione misto ad una forza di reazione sempre pronta a scender in campo. Emilia che da poco si trova a fare i conti con la disabilità a causa di una brutta caduta e di una degenza in ospedale di circa tre mesi esprime tutta la sua rabbia e la difficoltà ad arrendersi a pagare il prezzo della vecchiaia che avanza, dice che è furibonda perché le hanno ritirato 80 euro dalla pensione oltre al fatto che deve pagare molte medicine che prima non pagava. È furibonda con lo Stato, con i Governanti e propone di farsi carcerare in gruppo. Se andiamo in galera abbiamo tutto gratis, non dobbiamo pagare niente. Quasi a dover espiare per avere colpa di non saper reagire in altro modo se non con la rabbia proiettiva al suo non adattarsi alla nuova situazione che è sopraggiunta nella sua vita oltre al senso di solitudine che prova non avendo una famiglia a cui riferirsi se non le suore della comunità e le altre signore con le quali ha buoni rapporti. Intanto il gruppo vocifera e ognuno ha da fare i conti con il prezzo della crisi, con i ladri del governo. In tutto questo elencare di prezzi da pagare c’è il poter dire di essere stufe di dover essere ritenute vecchie e un peso per i familiari e per la società; ai nostri tempi sapevamo uscire fuori dalle situazioni di crisi non come oggi che non c’è che confusione. Ai nostri tempi è la premessa di un processo narrativo di riparazione narcisistica in cui il sé si alimenta di contenuti vitali in cui si narra il proprio funzionare a fronte dell’inattività del presente.

 

Sembra che il gruppo alterni momenti in cui ha bisogno di produrre, di vita, di pathos e momenti in cui invece ha bisogno di esprimere tutto il senso di disruttività, di rabbia, di odio.

Tale alternanza mi fa riflettere sullo scritto di Freud sull’analisi terminabile e interminabile e la particolare cornice temporale di questo gruppo che ha solo delle temporali ma che di anno in anno va avanti quasi ad imporsi rispetto al tema della caducità, del limite rappresentato dallo stato della vecchiaia e dal vivere in comunità quasi a creare un non limite o un contenitore che dà vita alla possibilità di creare una prospettiva di crescita: la maturità del gruppo .

Freud in quest’opera fa un richiamo alla teoria di Empedocle 495 a.c. Per Empedocle due sono i principi che governano ciò che accade sia nella vita dell’universo sia in quella della psiche e che essi sono in perpetua lotta tra loro. Egli li chiama amore o amicizia e discordia o odio. Il processo universale è concepibile come un continuo incessante alternarsi di periodi nei quali una prende il sopravvento, così una volta l’amore l’altra la discordia raggiungono in pieno il loro scopo e dominano il mondo: dopo subentra l’altro principio e debella l’antagonista. Le due pulsioni freudiane, eros e distruzione, la prima tende ad agglomerare tutto ciò che esiste in unità sempre più vaste, mentre l’altra mira a dissolvere queste combinazioni e a distruggere le strutture cui esse hanno dato luogo.

Il gruppo continuamente alterna momenti in cui costruisce una unità di pensiero e momenti in cui tale unità viene distrutta. Giselda racconta che ha fatto un sogno in cui ci era tutta la sua famiglia, si mangiava insieme, si era felici. Allora tutto il gruppo associa unità familiare, importanza degli affetti familiari, dei figli, dei nipoti che rappresentano la gioia, il futuro. A questo punto Filomena dice che le sembra di essere tornati bambini a parlare di queste cose e dicendo che non si può parlare di cose più serie, più costruttive, per esempio i problemi che ci sono nella comunità, i lavori di ristrutturazione che non finiscono mai, la lavanderia che non funziona, la vestaglia che le è stata rovinata e che nessuno le ha restituito. Allora Giselda dice che Filomena è esagerata che vede tutto nero, che non si accontenta mai.

Non c’è incontro in cui il gruppo non si muova in queste due direzione, in cui almeno un elemento del gruppo non si assume il ruolo di “distruttore delle speranze” di colei che riporta il gruppo su un piano di realtà relativo a problemi concreti di tutti i giorni. Edmea parla della sua esperienza di negoziante, un’’sperienza lavorativa che le ha permesso di conoscere tanta gente, di socializzare con molte persone, inoltre nella sua vita significativa è stata l’esperienza di vivere in Eritrea; allora interviene Lidia che dice che anche per lei quello è stato un periodo della sua vita bellissimo mentre oggi è tutto brutto sempre su questa sedia a rotelle, allora Eufrasia le dice, ma di che ti lamenti hai tre figli meravigliosi che vengono tutti i giorni a trovarti pensa a quelle persone che non hanno nessuno che le viene a trovare, Paola si alza per andare in bagno, lei è sola, non ha figli e in quel momento evidentemente non vuole affrontare questo tema. Eufrasia dice certo che ci sono delle persone che non sono mai venute al gruppo chissà perché stanno sempre chiuse nelle stanze, non capiscono che è male stare troppo da sole.

Ci sono persone che non frequentano il gruppo e che offrono al gruppo stesso di segnare il proprio confine, chi è dentro e chi è fuori, chi è assiduo e chi saltuario, chi partecipa attivamente e chi non parla mai: continuamente il gruppo ha bisogno di definire il proprio senso di esistenza e sicurezza attraverso la sua delimitazione.

 

Il gruppo è per il conduttore anche un momento di monitoraggio dello stato di salute dei suoi componenti; spesso ci si può rendere conto dalla modalità di partecipazione ad un incontro se c’è qualcosa che non va da un punto di vista cognitivo, neurologico o emotivo di un componente del gruppo.

 

Le donne anziane e la narrazione della guerra vissuta

Il Lavoro a cui faccio riferimento riguarda il contesto di due Comunità alloggio per anziane situate nel decimo municipio romano

Tali strutture constano di 45 e 20 residenti ognuna.

L’età media è di 83 anni

 

Nell’esperienza maturata ho potuto verificare che l’Esperienza della guerra vissuta è un argomento che crea Condivisione, Scambio, Pensieri, riflessioni, Memorie.

Le signore sono sempre ben disposte a raccontare della Guerra.

La mia ipotesi di lavoro è:

La guerra, per le caratteristiche sociali, emotive e storiche ha rappresentato un momento Significativo nella vita delle donne che l’hanno vissuta, un momento Fondamentale che insieme alla sofferenza, la repressione, la rabbia, la morte ha rappresentato una forma di RISCATTO, di esercizio della propria individualità, in qualche modo un’occasione di protagonismo.

 

Faccio alcuni esempi socialmente condivisi che possono chiarire meglio.

 

Un emblema della narrazione della seconda guerra mondiale e di quello che queste donne hanno vissuto può essere rappresentato dal film La Ciociara.

Cesira è una giovane vedova, forte e risoluta, che vive a Roma insieme alla figlia di 13 anni, Rosetta, durante la seconda guerra mondiale

Per sfuggire ai bombardamenti e alle mille insidie di una città allo sbando, affida il proprio negozio a Giovanni, un vecchio amico del marito, e intraprende un viaggio non semplice per rifugiarsi insieme alla figlia a Vallecorsa in Ciociaria paese d’origine della famiglia.

Arrivate non senza difficoltà a destinazione, Cesira fa subito la conoscenza di Michele, un giovane intellettuale comunista che ha trovato rifugio anche lui in quei posti. Dopo alcuni attriti iniziali Cesira si innamora di Michele, al quale anche Rosetta si affeziona come se avesse trovato quel padre che non ha mai avuto. Michele però, viene preso da cinque soldati nazisti proprio pochi giorni prima della liberazione e si incammina con loro sui monti senza lasciare più sue tracce.

Quando il peggio sembra passato Cesira decide di far ritorno a Roma, ma proprio questo viaggio verso la serenità risulta fatale. Sulla via verso la città le due, fermatesi in una chiesa diroccata per riposarsi, vengono aggredite e violentate da un gruppo di soldati marocchini.

Rosetta, che era solo una bambina, ne esce profondamente traumatizzata, chiusa in un freddo silenzio. Cesira è colpita da un dolore profondo, turbata più per la figlia che per sé, non sa come poterla aiutare a sciogliere un rancore che sembra dominarla e prevalere su tutto. Alla notizia della tragica morte di Michele, fucilato in montagna dai nazisti come si sospettava, le due donne si abbandonano, insieme, a versare lacrime cariche di dolore, di disperazione, in un pianto più che mai liberatorio, mostrandoci una madre e sua figlia nonostante tutto e inevitabilmente attaccate l’una all’altra.

 

Altra icona della donna che ha vissuto la lacerante esperienza della guerra, ma anche, se ce l’ha fatta a sopravvivere è forte e nulla potrà trafiggerla, è il simbolo che ha rappresentato la preferenza della Repubblica nel referendum del 2 giugno del 1946. Il simbolo per votare la Repubblica era costituito dal profilo dell’ Italia sormontato da un VOLTO DI DONNA con Corona Turrita.

Per la prima volta le donne hanno avuto diritto al voto..

 

 

 

Ida, Cesarina, Dea, Luigia, Maria, Giuliana…..tanti sono i nomi delle signore che portano dentro l’esperienza della guerra un’esperienza che dentro di loro diventa Mito; un Mito che racchiude Rabbia, Dolore ma anche Riscatto, Forza, un Mito che oggi fa compagnia a queste donne e che offre loro un modo per poter affrontare un’altra guerra

“quella della vecchiaia”.

Come dice la parola, il mito è soprattutto un racconto dove c’è una storia da presentare, che ha dei lati terribili. Il racconto della storia vissuta della guerra per le mie pazienti rappresenta, secondo me, il racconto che permette loro di giungere ai propri contenuti inconsci dello stato che si trovano a vivere che è intriso di rabbia per l’abbandono, di confusione, di smarrimento, di ristrutturazione del sé, ma che permette loro anche di fare affidamento a quella loro parte forte di sopravvissute, che può elaborare l’odio come dice Angela pellegrini nell’ultima pagina del suo libro, che permette loro di scavare e ritrovare la forza, il coraggio, le risorse.

 

 

 

 

 

 

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